Parigi di Silvia Pasquetto
Testo di presentazione della mostra
E’ nell’atto del guardare che il fotografo sente la fotografia prima ancora che venga scattata.
E’ nel guardare che ci relazioniamo col mondo e lo proiettiamo dentro di noi.
Scrive Henri Cartier-Bresson, nell’Immaginario dal vero, sul guardare: [… per ciascuno di noi, a partire dal nostro occhio ha inizio quello spazio che si allarga all'infinito, spazio presente che più o meno intensamente ci colpisce e immediatamente diventa memoria e nella memoria si modifica in noi...].
Questo il substrato concettuale all’interno del quale un gruppo di fotografi hanno guardato Parigi e con i loro occhi (e i loro cuori) l’hanno poi fotografata.
Sequenze di immagini che raccontano di architetture, di angoli, di curiose coincidenze, di memorie che sono rimaste impresse in quelle macchine fotografiche e attraverso le loro fotografie arrivano a noi.
Questa selezione di immagini, vuole essere un racconto di Parigi che si snoda sull’osservare: l’atto che diviene la genesi primitiva di ogni singola immagine e che, in questa mostra, trasversalmente attraversa fotografo, osservatore, soggetto fotografato.
Nasce così un gioco di rimbalzi visivi tra il fotografo che ha guardato per primo e te che guardi una fotografia che guarda ad un’altra fotografia.
Libera associazione dell’immaginario visivo.
Chi guarda chi? Chi guarda cosa?
Ne nasce una Parigi differente, altalenante tra la rappresentazione del reale e un dialogo immaginario che si crea tra i soggetti fotografati, accostando le immagini nel modo in cui ti vengono proposte.
Per una volta lasciati ondeggiare da un ritmo di visione non scandito dalla connessione temporale o logica, ma dal respiro dell’inconscio e osserva senza pensare.
Solo… guarda.
It is in the act of regarding that the photographer senses a photograph even before it is taken.
It is in looking that we relate to the world and introject it into our soul.
Writes Henri Cartier-Bresson in his description of the imaginary based on reality: “for each of us, starting from the eye, a space grows up and expands into infinity; a present space, with varying degrees of intensity it strikes us and immediately becomes memory, and in the memory it changes within us […]”.
Guided by this concept, a group of photographers has observed Paris and, with their eyes (and hearts), photographed it.
The resulting sequence of images tells of architectures, of corners, of curious coincidences, of memories whish remained inscribed in the cameras, finally reaching us in photographic form.
This selection of images strives to narrate a Paris strung out along the path of observation: the act comprising the genesis of each single image in our exhibit; an act transversally involving photographer, observer and photographed subject.
Thus starts a tennis game of mutual visual references cast back and forth between the photographer, the first observer, and yourself, as you observe a photograph that regards another photograph.
Free association of visual imagination.
Who regards whom? Who regards what?
What results is a different Paris, oscillating between a representation of reality and an imaginary dialogue created among the photographed subjects, as we assemble images according to the way in which they are presented.
For once, let yourself be swayed by a visionary rhythm not dictated by any temporal or logical connection, but by the breath of the unconscious. Observe without thinking.
Simply… look.